lunedì 8 dicembre 2014

Il giardino della casa color latte

- Ehi! Sta’ più attenta!
La biglia scivolò dalla manina assonnata e, roteando su di sé, balzò sull'erba morbida e solcò il giardino fino al muretto di cinta, fermandosi accanto a un grosso fungo rosso. Subito dopo, la seconda biglia seguì la prima, ma il tonfo fu più pesante, e i balzi più rocamboleschi: urtò il fungo, svegliando il folletto che vi riposava, rimbalzò sul muretto color latte, per finire accanto al Signor Cesare, il folletto che stava dipingendo con un lungo pennello le margheritine che puntellavano l’aiuola.
-       Accipicchia, non vedi che sto lavorando? Pensi che si colorino da sole? Uff...
Nel frattempo, il folletto assopito si era risvegliato dal suo torpore:
-       Ma sì, Signor Cesare, questi umani pensano di essere i soli artefici delle cose che li circondano! Ignorano noi e il nostro piccolo mondo laborioso, – disse con gli occhi ancora socchiusi, accucciandosi di nuovo sul fungo.
Lia si ritrovò improvvisamente catapultata nel verde del giardino e dei suoi abitanti. Accanto a lei, una fila indiana di formiche pronte a raccogliere le provviste per l'inverno. Di fronte, quel funghetto rosso minuscolo spuntato qualche tempo prima era ora gigantesco e sopra c'era persino un folletto in calzamaglia!
Ma chi è questo Signor Cesare? – pensò Lia e, spostando lo sguardo al lato del fungo, scorse un omino in calzamaglia rossa, un po’ calvo, con pochi capelli lunghi fino alle spalle e una folta barba bianca, tutto intento a dipingere le margherite dell’aiuola. Accanto a lui, alcuni attrezzi del mestiere: tubetti di colore, pennelli di varie fogge e misure, una piccola brocca colma d’acqua e un cappello a punta adagiato sull'erba accanto alla tavolozza variopinta.
Dove sono finita...?
Lia si guardò intorno, attonita. Strabuzzò gli occhi, li stropicciò più volte e... Accipicchia, sono in giardino! Cioè, anche prima ero qui, ma adesso è tutto più grande…
I gigli color arancio, che prima annusava dall'alto, erano ora enormi arbusti svettanti verso il blu. Mmm, un nascondiglio perfetto: devo ricordarmelo la prossima volta che gioco a nascondino!
-       Ciao Lia!
Una voce sconosciuta fece irruzione tra i suoi pensieri. Chi era? Come mai conosceva il suo nome? Lia si voltò di scatto. Non credette ai suoi occhi:


Per gentile concessione di un amico. Modifiche mie.



c'era una cavalletta verde brillante che le sorrideva! Impietrita, la bambina non proferì parola. Allora la cavalletta, per metterla a suo agio, si esibì in un tris di facce buffe e poi si presentò:
-       Comunque mi chiamo Egisto, – disse indicandosi maldestramente con una zampa, continuando a sorridere con tutti i denti che aveva. – Sono una cavalletta. Lo sapevi che le cavallette sono così? – incalzò mostrando il corpo atletico. – Cioè, non proprio tutte, io sono molto più simpatico delle altre! Non trovi? – disse strizzando un occhio e socchiudendo le labbra a mo’ di bacio.
Lia, impallidita, annuiva.
-       Io vivo qui da un sacco di tempo, mi piace. I tuoi nonni si prendono cura del giardino con tanto amore e così c’è cibo in abbondanza, e io posso saltare di foglia in foglia, annusare i fiori, giocare sulla corteccia degli alberi da frutto, e…
-       Tu abiti qui? – lo interruppe Lia, sorpresa.
-       Certo! Ti va di fare un giro? C’è un sacco di gente simpatica da queste parti, sai? Siamo piccolini, colorati, spesso canterini. Anche se gli umani, in genere, non badano a noi…
-       Davvero?
-       Beh, prendi tuo fratello, ad esempio. Viene qui con i suoi amichetti e che fa? Semina panico e distruzione. Calpesta tutto con violenza; innaffia al posto di tuo nonno e, invece di darci la giusta acqua, provoca un'alluvione; e quando tira i calci al pallone per colpire il ciliegio – sembra che voglia spezzarlo in due, accipicchia! – provoca un terremoto prima nella casa di Sir Giotto e poi nelle nostre. Davvero un bambino insopportabile.
Lia lo guardava attonita. Come poteva, una cavalletta, sapere tutte quelle cose su Lello?
-       E anche tu, signorina, non sei da meno quando ti arrabbi e, per dispetto, getti i tuoi piccoli rifiuti in giardino. Sai che con quella gomma da masticare alla fragola hai quasi ucciso mio cugino Achille, un grillo campione di salto in lungo, che proprio in quel momento stava atterrando da un lungo balzo durante un allenamento? Sai che le cartacce disorientano le formiche e ogni volta che ne lanci una loro, in preda al panico, perdono la strada?
Quella cavalletta chiacchierona ne sapeva abbastanza anche sul suo conto.
-       Sai che Lello ha tentato più volte di far cadere l'alveare, urtandolo con quel bastone laggiù? Guarda, le api sono pazienti e gli hanno dato un ultimatum... Fossi stato io, al loro posto, lo avrei punto un sacco di tempo fa.
-       Ehm, ma come…
-       Per non parlare poi di quei sacchetti trasparenti. Cosa sono, gli involucri dei vostri giocattoli? Beh, è plastica. E ci soffoca. Ma non la fate, voi, la raccolta differenziata? Insomma, siamo nel terzo millennio, perbacco, un po' di rispetto. – Egisto si faceva sempre trasportare quando il tema gli stava particolarmente a cuore.
-       Beh… Mi dispiace! Starò più attenta. Anche la nonna lo dice sempre.
Gli occhi di Lia erano spalancati, l'espressione seria, quasi preoccupata. Poi, d'un tratto, scoppiò a ridere. Egisto era davvero buffo, soffriva un po' di logorrea, ma aveva detto la verità: quello che aveva dipinto era proprio suo fratello Lello, il terrore dei vicini. Di tutti i vicini, a quanto pare. E anche i suoi dispetti non erano passati inosservati.
Nel frattempo, Egisto tornò a sorridere con tutti i denti di cui disponeva.
-       Vada per il giro, allora! So che conosci il giardino in ogni suo angolo, ma ora lo osserverai da un altro punto di vista. Perché è importante capovolgere i punti di vista, sai, bambina?
E così dicendo inserì la testa sotto le zampette anteriori e sbucò da un lato, quasi a mimare un punto di vista diverso, e da là sotto le fece l’occhiolino. Lia rise divertita.
-       Dai, andiamo! Sono proprio curiosa.
Egisto le porse una zampa e, insieme, sotto braccio, si incamminarono alla ri-scoperta del vecchio giardino.
-       È stata un'estate bislacca, non trovi?
-       Eh già, quest'anno la mamma e il babbo non ci hanno portato spesso al mare, non faceva caldo come le altre volte.
-       Oh cielo, quanto lo avrei voluto, bambina! Non per il caldo in sé, sia chiaro, ogni anno fa una strage di insetti, ma perché almeno per un po' sareste stati lontano da qui e invece, dove vi hanno parcheggiato? Dai nonni, ahimè.
-       Io ci sto bene dai nonni.
-       Ci sto bene anch'io! – ribatté la cavalletta, corrucciata.
-       Egisto, ma noi siamo bambini, cosa possiamo fare, altrimenti?
-       Mia cara, lo so bene, ma i bambini devono imparare a rispettare la Natura da bambini, per l'appunto. Altrimenti diventeranno dei grandi da strapazzo. E siete già sulla buona strada. Cioè, sulla cattiva strada. Voglio dire, sulla buona strada per la cattiva strada. Non so se mi sono spiegato.
-       Sì, credo di sì...
Dopo una pausa Egisto aggiunse quasi sottovoce:
-       Il problema è che il mio cervello è rapidissimo. Capisci, bambina, le mie parole spesso fanno fatica a rincorrerlo e a volte ne perdo qualcuna. Pertanto – schiarendosi la voce con fare maestoso – se non sono stato sufficientemente chiaro, posso ripetere tutto.
Quel tutto detto così, tra l'innocente e il minaccioso, terrorizzò la piccola umana. Il suo apparato uditivo chiedeva pietà:
-       Ehm, credo di aver capito tutto, Egisto.
-       Ok, baby. Allora, eccoci qua. Ti presento il Signor Cesare.
-       Buongiorno Signor Cesare! – lo salutò Lia.
-    Ciao Lia. Tieni, questa biglia è tua.
-       Il Signor Cesare è un folletto pittore e vive in questo giardino da molti decenni, ha già incontrato altri bambini prima. Invece, per me, tu sei la prima! – disse Egisto con il suo solito sorriso smagliante e gli occhi tondi e felici, avvicinando il viso a quello di Lia e cingendole le spalle con una zampetta per avvicinarla a sé ancora di più.
-       Davvero Signor Cesare? Non sono la prima bambina che viene quaggiù?
-       Certo che no! Tanto tempo fa, ce n'è stata un'altra prima di te. Era molto bella e gentile. Ti somigliava anche un po'. Ma poco, eh.
-       Ohhh...! – esclamò Lia. Chi poteva essere?
-       Il Signor Cesare dipinge a mano, uno ad uno, ogni petalo di ogni margherita che trovi in giardino. Hai visto quanti attrezzi ha? Hai visto com'è bravo? Pensavi che le margherite diventassero rosa per magia? Beh, in un certo senso... – disse Egisto riflessivo, portando l’indice e il pollice al mento. – Ma vieni, ti presento Clock.
-       Chi è Clock?
-       Clock è quel folletto fannullone lassù, sul fungo. Ehi Clock, abbiamo visite!
-       Perché è fannullone?
-       Ma no, dai, scherzavo. Lui si riposa ora, perché lavora molto d'inverno.
-       Che lavoro fa?
-       Viaggia.
-       Viaggia?
-       Beh, non solo. È una specie di postino.
-       E perché non consegna la posta d'estate? Le persone viaggiano, inviano cartoline. È per la crisi, forse? Ormai tutti usano Internet e inviano le foto con un click, per questo Clock è disoccupato?
-       No, bambina, è diverso. Clock è un postino speciale – replicò la cavalletta ammiccando, e poi abbassando d’un tratto la voce – Clock lavora per Babbo Natale… – disse portando una zampa alla bocca, quasi temendo che orecchie indiscrete potessero udire.
-       Per Babbo Natale?!!
Immaginate tutto lo stupore di una bambina. Perché tutto lo stupore di un adulto non sarà mai abbastanza di fronte allo stupore di un bambino.
-       Sì, per Babbo Natale, – replicò sorridendo affettuosamente.
Gli occhi di Lia si riempirono di gioia, una gioia che la portava quasi alle lacrime. Clock è uno dei folletti di Babbo Natale...
-       Svegliati pelandrone! Abbiamo visite! – urlò Egisto scuotendo il gambo del fungo.
Dopo qualche attimo di attesa, qualcuno finalmente si affacciò a testa in giù. Prima arrivò la punta di un cappello a righe verdi e bianche, poi fece capolino il naso, e poi tutto il resto.
-       Ecco Clock!
-       Ciao Clock, io sono Lia! – si presentò la bambina con emozione.
-       Buongiooorno! – sbadigliò Clock e, stiracchiandosi un po', aggiunse – So bene chi sei! Ti ho portato la casa delle bambole, due libri di racconti e un braccialetto lo scorso Natale.
-       Wow! Ma allora sei davvero uno dei folletti di Babbo Natale! – esclamò Lia ancora più meravigliata, se mai fosse stato possibile.
-       Certo! Non crederai mica alla storia del barbuto che in una notte porta i regali ai bambini di tutto il mondo!
-       Ah, no?
-       No, quella è una storia per i bambini piccoli. La verità è che Babbo ha una serie di aiutanti: ogni folletto si occupa di recapitargli le lettere della sua zona, preparare i regali e poi consegnarli per conto suo.
-       Sul serio?
-       Certo! Ormai sei grande per credere alle storielle, non trovi? E comunque sia, io lavoro qui. Quindi se vuoi far prima, puoi già consegnarmi la prossima lettera.
-       A dire il vero, non ci ho ancora pensato quest’anno.
-       Beh, pensaci, allora. Io resto qui a riposarmi per un paio di settimane, – disse Clock ritraendosi sulla sommità del fungo per riposare ancora un po’. – Anzi, aspetta, – gattonò per affacciarsi di nuovo all’ingiù – perché quest’anno non chiedi un regalo con meno imballaggio?
-       Che cos’è? – replicò timidamente Lia.
-       La carta, il cartone. A volte c’è anche la plastica con le bollicine, quella cosa scoppiettante che ti piace tanto. Sai, per fabbricare tutta quella carta vengono abbattuti innumerevoli alberi, che sono un bene prezioso per la Terra, ma soprattutto sono la casa di tanti miei amici che ogni anno vengono sfrattati. E poi occupano un sacco di spazio nel mio sacco, mi pesano e, alla fine, tu li butti via. – E sbadigliando tornò a ronfare accoccolandosi sul fungo, lasciando Lia a bocca aperta e instillandole, a modo suo, gocce di amore per una Natura tanto bistrattata.
Lia non aveva mai pensato all’imballaggio dei regali, d’ora in poi vi avrebbe prestato più attenzione; del resto, anche la nonna glielo suggeriva spesso.
Egisto e Lia proseguirono il viaggio. La cavalletta voleva portare Lia nell’angolo più magico, il rovo di rose. Lia aveva sempre pensato che le rose fossero dei fiori belli, ma un po’ scorbutici: “non vogliono lasciarsi prendere, piene di spine come sono! Vogliono soltanto farsi ammirare, che fiori snob!”
Per giungere al groviglio, però, dovevano superare le radici del vecchio ciliegio, un albero che il nonno aveva piantato tanti anni prima. Il vecchio ciliegio era la dimora di Sir Giotto, un gufo simpaticissimo con velleità artistiche: la sua tana era un cerchio perfetto nella corteccia, per questo motivo gli abitanti del giardino lo chiamavano Giotto. Quanto a Sir, invece, il soprannome derivava dal suo accento spiccatamente inglese: era, infatti, volato fin qui dall’Inghilterra per ampliare le sue conoscenze artistiche nel nostro Paese. Il suo vero nome si era perduto nella notte dei tempi, ormai tutti lo chiamavano Sir Giotto, e questa era l’ora del pisolino.
-       Shhh! Piano, altrimenti rischiamo di svegliarlo.
-       Ma dov’è? Io non lo vedo. Sei proprio sicuro che ci sia?
-       Certo che c’è. Eccolo lassù, mimetizzato con la corteccia; ha tre piume colorate, però. La Natura è davvero magica… – sospirò incantata la cavalletta.
-       Ah, eccolo! L’ho visto, l’ho visto!
-       Shhh!
Superate le radici, eccoli a pochi passi dal rovo, un cespuglio quasi spettrale, se visto dall’esterno, pieno di spine lunghe e aguzze.
-       Sei proprio sicuro, Egisto? È qui che vuoi entrare? Mi sembra un posto orribile…
-       Non guardare con gli occhi, mia cara. Gli occhi tradiscono, molto spesso. Non tutto è come sembra. Prova a chiuderli, e a guardare con gli occhi del cuore. Gli umani hanno dimenticato gli occhi del cuore e, così, non sentono più. È un gran peccato…
Lia, allora, chiuse gli occhi ed Egisto la condusse per mano all’interno del rovo. Un’atmosfera magica avvolse la bambina, cullandola in un piacevole tepore che le inondava il cuore ed esplodeva in una gioia contagiosa.
-       Ma è bellissimo! Posso aprire gli occhi adesso?
-       Aprili pure, mia piccola amica…
Ciò che Lia sentì con gli occhi del cuore si palesò davanti a lei. Si trovava all’interno di una cupola di foglie e steli di rosa, la luce filtrava tra di essi e si rifletteva in un gioco di colori e trasparenze sulle ali di creature magnifiche. Un profumo inebriante si diffondeva nell’aria. Esili e slanciate, regali nel portamento, con ali meravigliose, si spostavano a gruppetti di due o tre da una foglia all’altra. Qualcuna, invece, svolazzava solitaria. La leggerezza era uno stato di grazia.
Incredula ai suoi occhi, Lia non riusciva neanche a emettere un “ohhh!” di stupore.
-       Hai mai visto una creatura più incantevole di una farfalla? – le domandò Egisto con aria sognante.
-       Sono… farfalle?!
-       E cos’altro!
-       Sono bellissime...
Qualsiasi parola avrebbe rovinato l’incanto di quel momento. Ecco cosa celavano i rovi: impedivano agli esseri umani di entrare nel regno delle farfalle, fatto di luci ora soffuse ora più allegre, di colori danzanti dalle tinte pastello semitrasparenti, di profumi di foglie di rosa, di corteccia e vaniglia che hanno pervaso i sensi di Lia fino alle viscere, non li avrebbe più dimenticati. Sarebbero stati suoi per tutta la vita.
Una giovane farfalla planò poco distante dai due osservatori. Slanciata, ali grandissime bianco latte con una delicata bordatura nera, volto minuto e appuntito, occhi allungati, quasi orientali, e un foulard elegante a coprire la sommità del capo, proprio all’innesto delle lunghe antenne leggermente ricurve. Si avvicinò, camminando, prese una mano della bambina e le sfiorò una guancia…

-       Lia! Lia! Dove sei? – la nonna chiamava la nipotina dall’interno della casa color latte.
La voce si faceva via via più vicina. Pian piano, lentamente, Lia si risvegliò da uno strano torpore, sentiva un leggero solletico sulla guancia paffuta. Avvicinò la mano e, con la coda dell’occhio, intravide qualcosa muoversi. Stropicciò gli occhi con le manine e li spalancò: davanti a lei una farfalla color latte con le ali bordate di nero svolazzava leggera nell’aria; le si posò sul nasino, poi fece una piroetta e scivolò da un lato accarezzandole una guancia con il battito d’ali.
Che cosa è successo?
-       Sono… in giardino… nonna! – Replicò la bambina guardandosi attorno incredula.
Lia era accoccolata su un telo di lino che la nonna aveva disposto sull’erba, attorniata da bambole e altri giocattoli. Uno strano ronzio proveniva da lì: spostò una bambola e qualcosa balzò verso l’erba. Allora affinò lo sguardo, ma era tutto ugualmente verde. Di nuovo quel suono stridulo e sottile, quasi logorroico nel suo zillare: una cavalletta le saltò sul ginocchio, fece una riverenza e balzò via di nuovo, fuggendo verso le margheritine rosa dell’aiuola.
La bambina era confusa, le sembrava di aver fatto un sogno fantastico. Intorno a lei, tutto era immutato, era il solito giardino dei nonni.
-       Eccoti, finalmente, bimba!
-       Nonna…
 Alla vista della nonna, il volto di Lia si aprì in un sorriso raggiante. Si alzò per andarle incontro. Qualcosa tintinnava tra le pieghe del vestitino. Affondò la mano nella tasca e pescò due biglie pennellate di rosa. Per un attimo le osservò pensierosa.
-       Che succede? – domandò la nonna sorridendo.
-       Queste biglie sono… dipinte di… rosa! – rispose con la voce tremante la piccola Lia, sollevando il braccino verso la nonna.
-       Ah sì, anch’io ho due biglie così! – replicò a sua volta la nonna con un sorriso velato, lanciandole uno sguardo d’intesa.
In un attimo, tutto acquistò senso.

Un raggio di sole illuminò il volto di Lia, che corse incontro alla nonna e le saltò al collo. Avevano gli occhi simili, nonna e nipote. Si abbracciarono strette strette e continuarono a sorridere. Complici.

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